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di Lucia Speciale

Ciao a tutti sono Lucia. 
Vi sto per raccontare una storia vera, una storia di sfruttamento e razzismo nei confronti di un ragazzo siriano. Per ovvie ragioni di privacy e sicurezza, i nomi delle persone e dei luoghi sono stati falsificati.

Alcuni anni fa, per svolgere il tirocinio curriculare previsto nel mio piano di studi, scelsi una fattoria di Brenna, in provincia di Como.

Ero entusiasta di iniziare, ma non sapevo cosa mi stesse aspettando.

Quando iniziai a parlare con i responsabili, mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Così quando ebbi l’opportunità, dato che il datore di lavoro non era presente, iniziai a conoscere il lavoratore che era con me, Sandri, e gli feci alcune domande:

  • “Che tipo di contratto hai?”
  • : “Nessuno, lavoro in nero e vengo pagato 10 euro l’ora. Vengo quando servo”.
  • “Quanti lavoratori ci sono?”
  • : “Solo io”
  • “Da quanto tempo lavori qui?”         
  • : “ Da 2 mesi e mezzo”
  • ”Ti piace questo lavoro?”
  • :“No, lo faccio solo per sopravvivere”

In seguito, Sandri mi rivelò che era sfruttato (come sospettavo); allora, cercando di non essere troppo indiscreta, gli chiesi:

  • “Puoi raccontarmi almeno un episodio spiacevole?”
  • : “Si, una volta sono caduto e mi sono rotto una gamba: il signore mi ha messo fretta e io sono caduto dalla staccionata. Allora lui mi ha preso a calci e urlato contro, come fa tutti i giorni”.

Dopo aver parlato con lui, provai un senso di impotenza ma allo stesso tempo molta rabbia nei confronti del datore di lavoro e incredula mi chiesi: “Come mai nel mondo di oggi, in un paese occidentale, democratico, del cosiddetto ‘primo mondo’ accadono fatti del genere?”.

Nei giorni seguenti notai che spesso il lavoratore veniva insultato e anche io, per stupidaggini, venni sgridata più volte. Ogni scusa era buona per farlo. Inoltre facevamo orari eccessivi, soprattutto considerato che per me doveva essere un tirocinio formativo (oltre le 8 ore standard di lavoro!).

Un altro fatto spiacevole accadde quando, un giorno, non essendomi portata il pranzo perché non era previsto che mi dovessi fermare a lungo, chiamai mia madre per farmi portare qualcosa da mangiare.

Allora ci fu una discussione fortissima tra lei e il datore di lavoro, sul fatto che avrei dovuto provvedere prima; il datore disse, agitando le mani in faccia a mia madre, che non era un problema suo e che per questo fatto mi avrebbe dato una valutazione negativa.

Addirittura, dopo una settimana di lavoro, non volle neanche darmi un giorno di riposo (nemmeno per il 2 giugno, la festa della Repubblica!).

Per il lavoro inoltre, sia io che il lavoratore non siamo stati dotati di attrezzature adeguate.

A tal proposito, voglio ricordare che il D.Lgs. 81/2008 e le novità introdotte dal D.Lgs. 106/2009 hanno accolto molti concetti già specificati all’interno della L.626/1994. Si tratta di tutti quegli articoli che si basano sulla prevenzione del rischio in azienda e che di conseguenza implicano la partecipazione del datore di lavoro e dei lavoratori nell’adozione degli adempimenti e misure di prevenzione e protezione per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

All’interno di un’azienda, quindi, la prima figura incaricata di garantire la sicurezza sul lavoro e sulla quale ricade appunto l’obbligo del mantenimento dei livelli della stessa è il datore di lavoro. Questo soggetto deve assolvere agli adempimenti previsti, ha quindi l’obbligo di evitare che probabili e possibili pericoli dovuti all’esercizio della sua attività, possano tradursi in rischi per i lavoratori che vengono assunti per il compimento di tale attività, i quali però non decidono i criteri per portarla a termine, poiché il potere organizzativo spetta solo al datore di lavoro.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di salvaguardare l’integrità psicofisica dei lavoratori eliminando o cercando di ridurre al massimo i rischi che possono procurare dei danni a questi soggetti. Oltre al dovere di informare, al datore di lavoro viene anche attribuito il compito di vigilare e verificare il rispetto da parte dei lavoratori delle norme antinfortunistiche.

Tra gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro, un importante compito che spetta al datore di lavoro è la valutazione dei rischi inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso la quale viene redatto successivamente il Documento per la Valutazione dei Rischi (DVR), che rappresenta un’importante attestazione di tutte le misure di prevenzione e protezione che sono state adottate all’interno dell’azienda per migliorare i livelli di sicurezza.

All’inizio, quando avevo più bisogno di spiegazioni,  il proprietario oltre ad essere seccato e rispondermi in maniera un po’ aggressiva, non si assicurava nemmeno che io avessi capito veramente e mi toccò sempre farmi rispiegare le cose da Sandri. Con lui  costruimmo un certo legame. (Ciò confermava quello che diceva Karl Marx: se i lavoratori vengono sfruttati, automaticamente si crea un legame di solidarietà).  

Un’altra cosa assurda erano le minacce del tipo: “Se tu ora vai via,  io non ti retribuisco” (ma io non percepivo nessuna retribuzione!), “Se non sei più veloce, ti metto una valutazione negativa”, eccetera.

In questa esperienza, mi sconvolse anche dover ascoltare una serie di considerazioni da parte dei clienti che si lamentavano di Sandri, non per il lavoro svolto, ma per il solo fatto di essere straniero, perché – secondo quanto dicevano – “gli stranieri rubano il lavoro agli italiani vivendo a spese nostre in alberghi a 5 stelle”(sic!).

Sandri ci teneva, invece, a spiegarmi che lui, e altri stranieri come lui, erano venuti in Italia per scappare da guerre, dittature, o da gruppi terroristi. In alcuni paesi – mi spiegava – si soffre la fame, quindi è necessario spostarsi per cercare un po’ di lavoro e di dignità, per farsi una vita.

Nei giorni successivi passò a trovarmi in fattoria la mia insegnante, la tutor del progetto formativo, per mettere in chiaro quali fossero i miei diritti e quali i doveri. Da quel momento in poi gli atteggiamenti nei miei confronti, gradualmente, si resero accettabili.

Purtroppo, invece, non passò nessuno a difendere Sandri.

CONCLUSIONI:

Da questa brutta esperienza ho capito che i sindacati servono a proteggere i lavoratori. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno dell’azione dei sindacati: non solo per avere più diritti, ma anche per avere maggiore tutela di quei diritti che noi oggi diamo per scontati, ma in realtà non sono così scontati.

Ad esempio: un orario di lavoro giusto, un’attrezzatura idonea al tipo di lavoro da svolgere, la garanzia del rispetto del riposo, un trattamento rispettoso della dignità di ciascuno.  

Questa esperienza mi ha anche reso consapevole che ancora oggi ci sono dei datori di lavoro “schiavisti”,  che sfruttano i lavoratori e, proprio lì, dove non ci sono i sindacati, possono diventare addirittura spietati.

In sostanza, l’esperienza mi ha permesso di conoscere una realtà che non credevo potesse esserci in un paese democratico.

Ricordo con sofferenza i dialoghi con Sandri, un ragazzo che ho imparato a conoscere, che ha sofferto un disagio lavorativo oltre che personale e psicologico: sfogarsi con me lo faceva sentire un po’ meglio, ma questo non ha risolto la sua condizione di disagio e maltrattamento.

Tra gli argomenti che abbiamo affrontato al corso di formazione ampio spazio ha trovato il tema delle disuguaglianze, dove abbiamo affrontato anche il fenomeno del razzismo. Infatti, ci sono molti pregiudizi su chi arriva in Italia per cercare una vita migliore.

Spesso questi fenomeni sono amplificati, in un certo senso, dai social media. Ciò è pericoloso perché, come si è visto, alimentano forze di odio e populismo.

Un ulteriore tema che abbiamo affrontato è stato quello sul lavoro e sui sindacati. Con diverse trattative, i sindacati cercano di rendere migliori le condizioni dei lavoratori.

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